Stefano ci ha lasciato
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Comunicati e notizie
07-11-2020
tema: CRONACA
STEFANO CI HA LASCIATO
Il coronavirus ha portato via anche lo storico batterista dei Pooh, Stefano D'Orazio, una persona che ha dato molto per l'AIDO
Il coronavirus ha portato via anche lui, Stefano D'Orazio, 72 anni, ex batterista dei Pooh.
A darne l'annuncio poco fa su Twitter l'amico Bobo Craxi, notizia confermata su Facebook dall'amico e compagno di lavoro Roby Facchinetti. Con lui il batterista e compositore romano aveva composto e lanciato ad aprile il commovente brano Rinascerò rinascerai dedicato alla città di Bergamo. D'Orazio era ricoverato in ospedale da una settimana nel massimo riserbo: ieri sera l'improvviso peggioramento e la morte. "STEFANO CI HA LASCIATO! Due ore fa… era ricoverato da una settimana e per rispetto non ne avevamo mai parlato… oggi pomeriggio, dopo giorni di paura, sembrava che la situazione stesse migliorando… poi, stasera, la terribile notizia”. I Pooh – Roby, Red, Dodi, Riccardo - hanno ricordato cosi su Facebook l’amico e compagno di viaggio scomparso dopo aver combattuto a lungo una malattia complicata all'improvviso dal covid. “Abbiamo perso un fratello, un compagno di vita, il testimone di tanti momenti importanti, ma soprattutto, tutti noi, abbiamo perso una persona per bene, onesta prima di tutto con se stessa. Preghiamo per lui. Ciao Stefano, nostro amico per sempre…”. (da Avvenire)

Da un'intervista di Di Mascia Maluta vogliamo ricordare una persona che ha dato molto per l'AIDO
Milano, 4 ottobre 2013
Mascia Maluta: Dopo anni vissuti ai vertici della popolarità com’è nata l’idea del tuo impegno per Aido?
Anche se si è concretizzata negli ultimi mesi, il pensiero è nato molti anni fa, quando una mia cara amica fu colpita da un ictus e dopo due giorni morì. In quella circostanza chiesero ai parenti il permesso di poter avere i suoi organi per fare una donazione a chi ne aveva bisogno. Venti anni fa le donazioni di organi non erano frequenti come lo sono oggi, ma la sua famiglia, anche in un momento di grande dolore, in cui tutto si perde come anche la voglia di dare risposte così impegnative, immediatamente accettò.
Questa esperienza mi lasciò un segno, anche per la strana coincidenza avvenuta appena due anni prima, quando il marito della mia amica aveva avuto un problema simile, ma da una prospettiva diversa. Avendo un grave problema al fegato con la  necessità di un trapianto urgente, si informò sui tempi e le modalità, ma non essendoci all’epoca un organizzazione come Aido, dovette recarsi fino a Pittsburgh, dove per eseguire il trapianto gli chiesero un miliardo e duecento milioni delle vecchie lire. Il tempo di riuscire a vendere le case e a tutti noi di fare doverose collette in amicizia, questa persona purtroppo morì.
Informato di Aido, l’associazione che ha lo scopo di divulgare, informare e far capire alla gente che quando uno muore non viene saccheggiato, perchè finalmente esiste una legge che stabilisce le regole che sono esclusivamente a carico dello stato, sono stato felice di dare il mio contributo e di rappresentarla.
E’ importante sapere che oggi esiste un’associazione dove si può aderire a questa iniziativa sottoscrivendo un documento presso gli sportelli preposti dei Comuni o delle Asl, che con la metodologia scientifica di cui disponiamo si riesce a certificare con esattezza la morte di una persona e che non può essere un privato a decidere per conto tuo di fare espianti o trapianti. Immaginiamo se durante un concerto dovesse morisse il direttore dell’orchestra, ogni elemento andrebbe per conto proprio fino al disfacimento dell’esecuzione.
Ecco così accade anche nel corpo umano, fino a che c’è ancora una cellula che funziona la persone è viva, ma quando anche l’ultima cellula si spegne vuol dire che è arrivata la morte e non ci sono più rischi di ripensamenti. La donazione peraltro è straordinariamente emozionante, immaginare che con una persona che ci lascia si possono salvare fino a sette vite, visto che gli organi che si possono trapiantare sono appunto sette, è meraviglioso.
Questa mattina, in una trasmissione televisiva, una persona che ha avuto un trapianto e che fa corsi nelle scuole mi raccontava che i giovani sono molto più tranquilli e disponibili nell’accettare la disponibilità a donare gli organi rispetto ai sessantenni che, forse per i timori di una cultura ancora troppo lontana da questi momenti scientifici, fanno resistenza.
E’ confortante sapere che il settanta per cento delle persone che sono state trapiantate riprendono a lavorare, questo significa che oltre a togliere alla società l’onere di mantenere un malato, questi diventano di nuovo attivi e possono re-inserirsi. Le donne trapiantate possono aver figli, qualcuna addirittura ha avuto due gravidanze, molti praticano sport, come la persona che ho incontrato oggi, che ha vinto diverse medaglie. Questo dimostra che si torna completamente a una vita nuova, sana, vera e questa cosa non ha prezzo.

Non è il tuo primo impegno nel sociale, ci sono i centri di sostegno per i bambini in Sri Lanka che hai fatto quando eri con i Pooh…
Stefano D’Orazio:
Io credo che nella vita di una persona, cha ha avuto un po’ di fortuna, arriva il momento di pensare che questa la può restituire a chi non ne ha avuta, o almeno in parte, così trent’anni fa con i miei colleghi abbiamo iniziato a fare qualcosa per gli altri.
Quando all’inizio abbiamo aiutato il WWF a salvare la natura, ci siamo resi conto del numero incredibile di  persone che seguivano la nostra musica e che erano disposte a seguire anche altre nostre iniziative diverse dai nostri spettacoli. Così abbiamo iniziato a portare il nostro contributo ai bambini sordomuti in Sri Lanka, facendo costruire dei centri di accoglienza che poi sono diventati dei veri orfanatrofi.
Abbiamo aiutato i bambini in Madagascar e ancora in Sierra Leone ci siamo attivati per i bambini della guerra. Abbiamo fatto diverse cose, sempre seguendole da vicino e senza lasciarci entusiasmare dai risultati economici, ma semplicemente andando sempre a verificare con le persone alle quali donavamo il denaro quello che veniva realizzato. Guardavamo i filmati, andavamo alle inaugurazioni, e un anno dopo l’altro queste azioni, che hanno tutto tranne che dell’eroico, sono diventate per noi sempre più importanti.
Noi italiani siamo un popolo molto generoso, in Europa ai primi posti fra coloro che hanno imparato a fare solidarietà anche nei casi di calamità naturali, siamo felici di sentirci utili al di la di quelli che sono i nostri effettivi meriti. Un pensionato che manda un sms da un euro ha la stessa valenza di chi dona una borsa di studio a qualcuno, perché ha la disponibilità economica di farlo. I successi più belli che io possa annoverare nella mia carriera sono quelli di aver fatto qualcosa di importante per gli altri, poi tutto il resto, i Telegatti e i dischi di platino passano da un’altra parte.

Mascia Maluta:
Il desiderio di aiutare chi è meno fortunato nasce da un sentimento di coscienza morale o da un bisogno di spiritualità?
La distinzione tra morale e spirituale è molto difficile ed è un confine che difficilmente si riesce a demarcare. Ognuno di noi ha sensazioni diverse, pensa che una cosa sia bella, giusta e gratificante, perché quando fai qualcosa per qualcun altro, a livello emozionale torna sempre indietro con gli interessi. Penso che se si riesce ad essere contenti e ad addormentarsi bene, questo sia davvero una grandissima fortuna. Ho stampato nella mente lo sguardo di quei bambini del Madagascar, piccoli di due o tre anni che senza rumore, senza un fiato, senza una lacrima, facevano la fila per andare a prendere la tazzina di acqua dove aveva bollito il riso, con la quale mandare giù la “pasticchina” per potersi curare la lebbra, cura che ormai dovrebbe essere obsoleta, visto che questa malattia potrebbe essere prevenuta con i vaccini. Vedere così tanti bambini nei centri di accoglienza gestiti dai volontari e dalle suore, che aspettano in silenzio la possibilità di poter continuare a vivere, e poi atterrare in Italia e trovarsi nel duty free dell’aeroporto davanti a un bambino che si butta davanti a un camioncino, disperato fino a che i genitori non glielo comprano. Ecco questo aumenta la spiritualità o un minimo di autocoscienza, che ti fa dire – ” pensa che qua abbiamo tutto e di più e continuiamo a lamentarci, dall’altra parte hanno niente e di meno e stanno li in fila con la tazzina ad aspettare di mandare giù la pillola che forse gli salverà la vita.”
Intervista esclusiva di Mascia Maluta
 

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