XIV Domenica del Tempo Ordinario
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RUBRICHE > Riflessioni sul Vangelo
08-07-2018
XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Domenica 8 luglio 2018
Il Vangelo di oggi è chiuso tra due parentesi di stupore: inizia con la sorpresa della gente di Nazaret: Da dove gli viene tutta questa sapienza e questi prodigi?. E termina con la meraviglia di Gesù: E si meravigliava della loro incredulità. Né la sapienza né i miracoli fanno nascere la fede; è vero il contrario, è la fede che fa fiorire miracoli, l’abbiamo sentito domenica scorsa nella bellissima pagina evangelica della donna malata e della risurrezione della figlia di Giairo . Oggi però vediamo che la gente passa in fretta dalla fascinazione alla diffidenza e al rifiuto. Da dove gli vengono queste cose? Non da Nazaret…dicono!. Non da qui. In questa domanda «Da dove?» è nascosto il punto da cui ha origine l'Incarnazione: con il Verbo entra nel mondo un amore da altrove, potremmo dire "alieno", qualcosa che la terra da sola non può darsi, viene uno che profuma di cielo. Quel mix di sapienza e potenza che Gesù trasmette, non basta alla gente di Nazaret per aprirsi allo spirito di profezia, quasi che il principio di realtà («Lo conosco, conosco la sua famiglia, so come lavora») lo avesse oscurato.
E’ questo stupore che caratterizza la parola di Dio di  oggi. L’evangelista Marco affronta in poche battute un episodio che deve avere profondamente impressionato la prima comunità.
Abbiamo letto qualche giorno fa l’incursione del clan di Gesù, i famigliari precipitatosi a Cafarnao per portarlo a casa, dopo avere appreso la notizia che da Gerusalemme era stato giudicato un indemoniato, senza riuscirci.
Ora è lui, senza paura, a salire a Nazareth in un clima non gli è affatto favorevole: Marco, da abile scrittore, sottolinea un incrocio di meraviglia, di stupore…..ma in negativo: i concittadini di Gesù si stupiscono (letteralmente significa sono feriti) dalla sua predicazione e Gesù è scosso dalla loro incredulità.
Perché i profeti ancora ci sono in mezzo a noi, anche se a volte irritano, destabilizzano, inquietano.
Eppure ci sono.
Ma poiché quasi tutti preferiamo restare nel nostro mondo, giustificando ogni nostra azione, placidamente adagiati nelle nostre scelte, piuttosto che metterci in discussione ci tappiamo le orecchie.
O, peggio, stravolgiamo il Vangelo.
O, come abbiamo ascoltato nelle letture di oggi, rendiamo inoffensivo il messaggio sottolineando l’inadeguatezza di chi ce lo propone.
Ma sempre e tutto con un’unica finalità: io ho ragione. Chissà forse anche in questo nostro tempo che sembra destabilizzarci come comunità forse c’è un po’ di profezia…(lo dico non da convinto!) Papa Francesco un giorno ebbe a dire: “La verità scomoda tante volte non è piacevole da ascoltare e “ i profeti, sempre, hanno avuto problemi di persecuzione per dire la verità”.
Ma qual è per me il test che un profeta quando parla forte dice la verità? È quando questo profeta è capace non solo di dire, ma di piangere sul popolo che ha abbandonato la verità. E Gesù da una parte rimprovera con quelle parole dure; “generazione perversa e adultera” dice ad esempio; dall’altra parte pianse su Gerusalemme. Questo è il test. Un vero profeta è quello che è capace di piangere per il suo popolo e anche di dire le cose forti quando deve dirle. Non è tiepido, sempre è così: diretto. Ma il vero profeta non è un ‘profeta di sventure’ – dice sempre il papa - il vero profeta è un profeta di speranza:
Aprire porte, risanare le radici, risanare l’appartenenza al popolo di Dio per andare avanti. Non è per ufficio un rimproveratore … No, è un uomo di speranza. Rimprovera quando è necessario e spalanca le porte guardando l’orizzonte della speranza. Nel mondo dei puri e degli onesti (potremmo dire dei fedeli praticanti, dei devoti…forse anche dei preti) in cui si esige e si pretende dagli altri ogni perfezione mentre si è piuttosto clementi verso le proprie debolezze, non c’è spazio per il Vangelo che, se da una parte propone ideali elevati, obiettivi altissimi, dall’altra tempera ogni richiesta con la logica della misericordia e del perdono.
Dio chiede la perfezione, sì, ma come la intende lui.
Quella che è attenta allo sforzo, non al risultato.
Che guarda il cuore, non le regole.
Che legge l’anima, non l’apparenza.
Paolo, san Paolo!, confida in una sua lettera di avere inutilmente chiesto a Dio nella preghiera di essere liberato da una spina nel fianco, probabilmente un difetto, un aspetto del suo carattere che percepisce come negativo. E che il Signore gli ha risposto che va bene così, perché nella sua e nella nostra debolezza si manifesta pienamente la sua grandezza.
È così, è esattamente così.
Quando la Parola che proclamo giudica e interroga anche me, sono sulla strada giusta. Anche per me…non è facile come sembra…..Ci aiuti il Signore a capire e ad essere fedeli.
 
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